Intervista a Stefano Bombardieri
di Anna Lisa Ghirardi
Conosco abbastanza bene il lavoro di Stefano Bombardieri, avendo curato due sue mostre personali tra il 2009 e il 2010 (Menhir della conoscenza e Lüge macht frei) e da allora seguito il suo iter artistico. Ciò nonostante credo che un artista debba sempre stupire i suoi estimatori, i suoi collezionisti, il pubblico, persino chi lavora affianco a lui, critici e galleristi compresi, non per provocazione, ma perché se il mondo di ogni individuo è complesso, quello di un artista lo deve essere con più consapevolezza. Le intuizioni e quindi le opere di un artista vanno oltre al prevedibile. Ritornare nel suo studio è sempre una sorpresa, tutto è in fieri, ci sono opere in fase di costruzione, altre se ne stanno semi abbandonate in attesa di sviluppi, di pensieri, altre ancora sono accatastate, quasi l’Artista avesse necessità di andare oltre il suo passato, inventare nuove forme, cogliere nuove intuizioni. Un sorriso e la cortesia che lo contraddistingue accompagnano la visita.
La tua notorietà è legata ai grandi animali installati in contesti urbani. Li abbiamo visti occupare le piazze di Pietrasanta, Ferrara, Bologna, Saint Tropez, Posdam,… Quali nuovi animali vedremo nelle nostre piazze?
Nessun nuovo animale per ora. In particolar modo continuerò a lavorare sulla figura del rinoceronte, che considero una sorta di alter ego. Cambieranno le dimensioni: saranno ancor più grandi, tanto che lo spettatore potrà entrare in esso ed esplorarlo, come se entrasse nella mia mente.
Ti riferisci quindi alla realizzazione del progetto dell’opera Monachesimo armato – Torre del Satori presentato alla alla 54ª Biennale di Venezia. Mi parli un po’ dell’idea che ha generato questa opera?
Questa opera è nata in conseguenza all’idea di fare una scultura monumentale, che fosse adatta a spazi pubblici. Ho immaginato questa scultura come un guscio e quindi ho pensato di rendere abitabile questo involucro; è venuto quasi naturale pensare ad uno spazio chiuso dove la gente potesse entrare e trovare un luogo dove meditare. La testa del rinoceronte ricorda il ventre delle balena, uno spazio protetto, e la torre rimanda all’idea di un luogo difficilmente raggiungibile, dove poter meditare. La scultura si trasforma quindi in un “Fort Apache”, una sorte di rifugio protetto dalla coriacea corazza. L’opera ha un dentro e un fuori: l’esterno è costituito da una grande struttura/ gabbia che contiene la casa/rinoceronte, all’interno della quale c’è lo studio, la sala lettura, il luogo del raccoglimento…della ricerca dell’illuminazione. Il corno dall’interno si trasforma, agli occhi dello spettatore/visitatore in una sorta di tunnel alla fine del quale si intravede la luce. questa luce è la stessa che illumina il filosofo, lo scrittore, l’intellettuale, l’uomo di pensiero, ma anche l’uomo comune. Satori fa riferimento a questa illuminazione, questo risveglio spirituale.
Sebbene gli animali siano i protagonisti di buon parte del tuo lavoro, la tua ricerca è antropocentrica, ovvero metti l’uomo al centro della riflessione. Il cuore della questione non sono mai gli animali, nemmeno quando sono loro ad essere in via di estinzione e i count down indicano in modo chiaro gli esemplari rimasti?
Possiamo considerare gli animali l’anello di congiunzione tra uomo e terra; risulta difficile per l’uomo rapportarsi direttamente con gli elementi naturali, comprenderli in funzione della loro importanza in quanto ecosistema e quindi habitat che ci ospita e ci chiede di essere preservato. L’animale, per l’appunto, interagisce con noi in qualche modo, ci somiglia, in esso ritroviamo noi stessi, addirittura in alcuni tratti se non in alcuni gesti e comportamenti; è più facile per noi capire chi siamo e capire le problematiche della terra attraverso gli animali. Nelle mie opere gli animali sono metafore della complessità esistenziale umana. Mi interessa l’uomo, in particolare come egli reagisce di fronte agli eventi, più o meno inattesi, che mettono in discussione il suo desiderato ma precario equilibrio. Anche quando gli animali rappresentano loro stessi, come nel ciclo Animal’s count down, l’uomo fa sempre parte del discorso, perché distruggere il pianeta sul quale abitiamo è distruggere noi stessi.
Mi vorrei soffermare sulla genesi e il significato di alcune tue opere. Ricordi come è nata l’intuizione di alcune tue opere?
Capita di raccogliere delle piccole cose, impercettibili. Tutti viviamo queste intuizioni, alcuni non se ne accorgeranno mai nella loro vita, chi lavora con esse invece, come un poeta, un musicista, un artista ha la possibilità di intercettarle, di trasformarle in parole, musica, volumi, colori, forme…..l’essere umano è uguale ai suoi simili, l’artista è solo più pronto a cogliere l’intuizione. Le mie opere non sono mai frutto di un ragionamento e spesso dimentico pure l’origine a dire il vero. Non so se è normale…io vivo sinceramente molte amnesie rispetto a moltissime cose che vivo, aspetto tra l’altro che mi dispiace.
Parlami di un’opera della quale ricordi più delle altre. dello struzzo con il cubo non ti ricordi nulla?
L’opera che più mi somiglia e della quale ricordo perfettamente la genesi è “Il peso del tempo sospeso/rinoceronte”, questo lavoro è nato da un’immagine che ho visto molti anni fa: una fotografia tratta dal film E la nave va di Federico Fellini, raffigurante un rinoceronte sospeso a cavi e cinghie, malato – non si sa di che male – che veniva caricato su un transatlantico con destinazione l’America. In questa sospensione ho forse visto o in qualche modo predetto quella che sarebbe stata la mia condizione anni dopo. Ho messo questa foto in un cassetto e come d’incanto è riapparsa quando ero diventato io il rinoceronte sospeso, malato, ma questa volta sapevo benissimo di quale “malattia”. Lo Struzzo Rubik fa parte di quelle opere inghiottite in un certo senso dalla mia amnesia, mi risulta difficile ricordarne l’origine, ho sempre considerato il cubo di Rubik una perdita di tempo, forse l’opera vuole spiegare che spesso ci nascondiamo o ci immergiamo in cose inutili per non pensare troppo.
Con le tue grandi opere, che esse siano animali, il grande TIR Icaro schiantato al suolo o i Sumo appesi, avvicini spesso il pubblico incuriosendolo, attraendolo per le grandi dimensioni, spiazzandolo per la decontestualizzazione del soggetto ed offrendo poi spunti che aprono scenari nuovi, lontani dalla leggerezza. Oserei dire che applichi il “sentimento del contrario”. È una modalità di comunicazione che adotti con consapevolezza?
Non direi di essere consapevole, spesso l’artista non è completamente cosciente, o per lo meno razionalmente cosciente, del significato delle sue opere. In parte lo scopre, quando esse vengono lette dal pubblico con più chiavi interpretative. I temi che tratto hanno, del resto, dentro loro stessi questo dualismo, è la vita stessa a mostrare le due facce della medaglia. Ci sono esperienze negative che possono essere utili per interpretare la vita in modo più sereno e consapevole; Nietzsche afferma che il dolore è un’esperienza di affinamento che rende possibile la conoscenza. Possiamo però anche vivere esperienze apparentemente leggere che nascondono la complessità dell’esistenza. Rimanendo nell’ambito di un immaginario a me caro, mi viene in mente il circo, esso può sembrare una cosa leggera e divertente, ma in realtà nasconde a volte una malinconia profonda. La vita è sempre come il circo.
In alcune tue opere l’ironia scompare o si fa più cinica, il tuo linguaggio si fa più crudo, diretto e forte; basti pensare all’installazione Luge macht frei, in cui, compare l’inganno, il dolore, il senso della tragedia, la solitudine e la desolazione. Credi che l’arte possa avere una funzione sociale e possa far riflettere, meditare, addirittura modificare la società e l’uomo?
Non creo le mie opere pensando alla loro funzione, le creo per me, l’eventuale funzione sociale è una conseguenza. Faccio arte perché mi fa bene, come se fosse una cura. Molte altre persone soffrono delle mie stesse “mal+attie” e ci si ritrovano. Di fronte ad alcuni traumi o dolori della mia vita ho scoperto di condividere con molte altre persone tali esperienze e ciò mi è stato d’aiuto. Di fronte ad un’opera d’arte può capitare che un certo messaggio intrinseco possa essere condiviso e possa far riflettere, del resto la condivisione di un’esperienza è un bisogno a cui tendiamo, mi piace citare Salvatore Natoli nel suo saggio L’esperienza del dolore. Le forme del patire nella cultura occidentale…, quando parla di “universalità del dolore”.
Conoscendoti, hai già in mente qualche meta per le tue esposizioni? Dove andranno i tuoi lavori?
Le mie esposizioni avranno come meta prevalentemente spazi pubblici, a diretto contatto con la gente, alla ricerca possibilmente di un pubblico di non addetti ai lavori, quindi, centri cittadini o luoghi socialmente interessanti, piazze, porti, archeologie industriali in Italia e all’estero, Istanbul la prossima meta.
Altri progetti per il futuro?
Il progetto è a lungo termine, è fatto di viaggi in cerca di nuove suggestioni, di incontri, di musica e di profumi, è un progetto fatto di tanto tempo passato insieme a mio figlio per non perdermi nulla e non far perdere niente a lui, lui va nutrito…..come l’arte.
ANNA LISA GHIRARDI
Welcome to Bombardieriland
di Alessandro Riva
Benvenuti a Gardaland. Pardon, a Bombardieriland. Stefano Bombardieri, il Grande Burattinaio di quello strano, anzi stranissimo, e bizzarro, e pressocché inedito, e inesausto, fantasmagorico e strabiliante parco giochi di cui solo lui conosce regole e motivazioni, avrebbe voluto che io non pronunciassi mai quella parola. Gardaland. Oh, Gardaland! Gardaland, o cara. Io, invece, ho da pronunciarla, e mi si seccasse la lingua – e la penna, o se preferite ancora il mouse – se non lo farò ogni volta che vedrò comparirmi davanti all’improvviso, come una misteriosa apparizione, una sua scultura – rinoceronte appeso, o balena, o macchina da scrivere, o bagaglio da viaggio comprensivo appunto di rinoceronte, o rinoceronte-divano, o cartello a forma di bocca che sia. Già, perché di Gardaland, il Bombardieri conosce ogni anfratto e ogni segreto. Di Gardaland, il Bombardieri è figlio naturale – lì ha fatto la sua accademia, il suo apprendistato, la sua scuola dell’obbligo. Gardaland è, che gli piaccia o no, al contempo la sua bottega artigiana e il suo romanzo di formazione. Lì, a Gardaland, ancora giovanissimo, il Bombardieri ha lavorato, vissuto, sudato, amato forse, e sofferto, e scoperto e imparato, uno a uno, tutti i trucchi del mestiere, come costruir balene e rinoceronti e mostri marini o fantastici o preistorici o quant’altro serve allo spettacolo del divertimento quotidiano. E perciò, di Gardaland, il Bombardieri di oggi, il Bombardieri artista, quello appunto che costruisce gigantesche balene tirate da minuscole bambine (versione gardalandiana e contemporanea del mito di Davide e Golia, dove Golia, però, sono i nostri pesantissimi bagagli infantili, le nostre paure, e i nostri desideri, che ci trasciniamo fatalmente, consapevolmente o meno, lungo tutta l’età adulta), e rinoceronti appesi, e lottatori di sumo, e immensi bagagli da viaggio in stile africano tra i quali spicca, come in una scena di un qualche improbabile film comico – quando non di un folle cartone animato -, di Gardaland, dicevo, il Bombardieri artista è appunto il figlio naturale, l’erede, e l’ambasciatore, anche se non lo sa – ma per fortuna ci siamo noi critici, il cui mestiere è, fino a prova contraria, l’indicare agli artisti ciò che si ostinano a non voler vedere. Per comprendere ciò che Bombardieri vuole dirci, dunque, con i suoi rinoceronti e le sue buffe macchine da scrivere in serie su eleganti gambette in vetroresina, si deve per prima cosa pagare l’ideale biglietto d’ingresso per quello strano posto che è Bombardieriland, il luogo delle contromeraviglie, dove niente è ciò che sembra, dove lo spettacolo segue regole tutte sue anziché quelle codificate, e tutto sommato prevedibili (benché spesso straordinariamente azzeccate), dal grande business dell’attuale consumismo infantile, e i rinoceronti stanno appesi sui tetti delle macchine o schiacciati dentro a scatolette di sardine.
ALESSANDRO RIVA
Stefano Bombardieri
di Barbara Martusciello
La scultura, tanto praticata nel passato così da essere presente in ogni produzione artistica di qualsivoglia epoca storica, ha vissuto nel periodo maggiormente contemporaneo momenti di alterne fortune. Dopo anni in cui la scultura si è manifestata più raramente all’interno delle più rilevanti situazioni artistiche italiane (inoltre grazie ai soliti protagonisti riconosciuti), dopo aver superato un lasso di tempo in cui è stata assorbita in qualche modo da installazioni, ambientazioni e congegni interattivi, a volte confusa con l’arte applicata, oggi è tornata a rappresentare un linguaggio se non consueto certamente degno di rilievo nell’ambito dell’arte del presente. La cerchia di scultori che se si cimentano con la tridimensionalità plastica è attualmente ristretta ma agguerrita ed è capitanata da giovani autori che, pur diversi tra loro per formazione e mano, si caratterizzano per alcuni interessanti tratti stilistici comuni tanto da avere in qualche modo generato una sorta di fenomeno peculiare delle nuove tendenze dell’arte. Si può così riscontrare, in questa che è genericamente definita nuova scultura italiana, una massiccia e simile presenza di immagini figurative. Questo si connette direttamente a quanto è accaduto e tutt’ora accade nella maggior parte della giovane produzione pittorica e fotografica; diversamente da questa, che ha rotto con l’arte del passato per affermare la libertà del proprio linguaggio fortemente contaminato con il proprio tempo, l’attuale prassi scultorea rivela e anzi dichiara il suo debito nei confronti delle proprie radici storicoartistiche. La tradizione, che si palesa come un punto di riferimento, è assorbita senza strappi ma procedendo con una naturale lenta progressione verso il rinnovamento dei codici espressivi. Da questo criterio creativo deriva un corpus scultoreo interessantissimo, fatto certamente di sapiente conoscenza e perizia materica, tecnica e stilistica, ma priva di atteggiamenti ossequiosi verso i propri maestri, capace invece di tradursi in qualcosa di fortemente comunicativo. La nuova scultura, diversamente ma ugualmente a quanto è avvenuto e avviene per le “sorelle” pittura e fotografia, sa parlare una lingua dinamica perché composita, che ha saputo portare nel tutto tondo il complesso immaginario contemporaneo sempre più influenzato da una incredibile varietà di stimoli provenienti da vari contesti nei quali l’immagine è la grande protagonista. Seguendo queste riflessioni critiche è agile cogliere la singolarità e allo stesso tempo il carattere di comune appartenenza all’ambito della nuova scultura italiana della produzione scultorea di Stefano Bombardieri. Tutto il lavoro di questo giovane artista tradisce una controllata vitalità scultorea che, passando per l’onnipresente -e non potrebbe essere altrimenti- radice classica, si attesta su codici di spiccata modernità. Tale peculiarità, presente con grande evidenza nelle sue straordinarie sculture, si rileva seppur maggiormente regolata anche nei suoi lavori a parete. Sono, queste, opere polimateriche in cui lo spazio pittorico, come uno schermo sostanzialmente neutro, accoglie e allo stesso tempo propone all’esterno una serie di elementi compositivi che si stagliano dallo sfondo simili a piccole mensole che rimandano a tabernacoli. Questi singoli “oggetti” si organizzano seguendo una disposizione geometrica e un ritmo ordinato e preciso sulla superficie che li contiene; ne risulta una sorta di griglia visiva in cui il particolare emerge e si distingue per pittoricità e poetica dalla visione globale giungendo a una capacità di coniugare forza plastica e vibrazione pittorica. Tutto questo attraverso un linguaggio lirico-astratto. Diversamente, le immagini tridimensionali che scaturiscono dall’espressività di Bombardieri si attestano su un versante decisamente figurativo. Le sue sculture sono infatti credibilissime, hanno, per intenderci, una presenza assolutamente realistica, fatta di dettagli minuziosamente restituiti, di perfezione plastica della mimesi, di un equilibrato compiacimento stilistico; eppure proprio questa loro smaccata “verità”, questo loro sembrare più vere del vero le fanno apparire surreali e persino inquietanti. I rinoceronti, i lottatori di Sumo di questo artista, così come tanti altri soggetti possibili, assumono quasi la parvenza di reperti congelati in una fissità sintetica, artificiale. Una vita parallela talmente perfetta e incorruttibile da lasciare sgomenti. Ma in fondo, è solo arte; è solo la magia dell’arte che rende possibili queste alchimie, e se è vero – com’è vero – che l’arte non è mirata a compiacere né a dare risposte ma, al contrario, serve a porsi interrogativi, a scuotere, a imporre processi mentali, le opere di Stefano Bombardieri ci portano per mano, con apparente leggerezza, piacevolmente incantati, verso concetti come quello del rapporto tra realtà e finzione, di vita e suo duplicato, tanto attuali oggi ma onnipresenti nell’atavico immaginario collettivo nonchè materia fondamentale della riflessione sull’arte e sul suo linguaggio.
BARBARA MARTUSCIELLO
Sub/Anime
di Fausto Lorenzi
SUB ANIME 2004 di Fausto Lorenzi Il tema dell’acquario torna nella gigantesca scultura in vetroresina di Stefano Bombardieri, ma con l’idea d’immergersi come un palombaro in esplorazioni psichiche e fantastiche (già Max Ernst diceva: “Non sai cosa porterai alla superficie”, quando vuoi recuperare le tue pulsioni profonde, fantastiche): come un’apparizione in un film di fantasy, si profila l’ingombro sconcertante d’una balena di 15 metri, trascinata da un bambino. La balena, tutta imbullonata e verniciata in nero opaco, si offre come un trovarobato teatrale, o un immenso giocattolo che dalla potenzialità infinita dell’infanzia – dove la fantasia rovescia davvero il mondo – il fanciullo vorrebbe tirare nell’età adulta. Stefano Bombardieri sta sospeso tra questo gusto surreal-pop, d’abbandono a un fantasticare avventuroso (l’artista come l’eterno ragazzo pronto all’avventura nel mondo, nutrito di romanzi avventurosi e picareschi, ma anche di favole disneyane, di balene di Pinocchio e del capitano Achab e di mappe d’isole misteriose), e insieme di rimessa in discussione, secondo una prassi dadaista, di gioco e sberleffo, dello statuto dell’opera d’arte, a simulare il flusso della vita quotidiana – sia pure nella dimensione fantastica – che entra nel padiglione. Non molti anni fa era ancora comune, anche da noi, lo spettacolo delle carcasse delle balene mostrate nelle piazze. Vuol disorientare, ma anche mantenere una fascinazione ironica, con un po’ di quel sadismo innocente da fanciulli che s’accaniscono a smontare i giocattoli e le bambole, così da rovesciare i luoghi comuni della visione, per “vederci davvero chiaro”, anche nella discesa alchemica nelle molecole della materia affinché “non stia più nella pelle” e si tramuti nel “mostruoso”, ossia in ciò che è “portentoso” e fantastico, dell’uomo. Già Stefano Bombardieri aveva presentato animali simboli di vitalità e d’energia appesi, imbragati e insaccati, a farci riflettere magari sul senso della «natura morta» nell’arte, ma anche a destare allarme, a fondere in un’unica immagine intensa le nostre inclinazioni persino horror e sadomasochiste (inghiottiti dalla balena) o invece le nostre ansie di liberazione e capacità di guizzare, pur con tutto il peso del corpo, in una leggerezza acquatica. Questa attenzione alle maschere o alla pelle cangiante dell’arte (è esplicito il senso della simulazione, fin dal mostrare tutte le giunture e le bullonature della balena) ci fa misurare come su una scena teatrale col disagio, lo smarrimento e le paure che abitano la nostra vita di ogni giorno, ma affidando loro una delega d’ironia e d’effrazione, di rivolta minima, di inafferrabilità e leggerezza (il mammifero più massiccio tirato da un fanciullo). Così il gioco è tutto nel fare in modo che le cose non stiano più nella loro pelle comune, per attestarsi alla soglia dei nostri sogni o desideri.
FAUSTO LORENZI
IN-STALLO.
di Giovanna Galli
La produzione scultorea di Stefano Bombardieri si inserisce nel panorama della ricerca plastica contemporanea con attributi di estrema vitalità, originalità e raffinato equilibrio, che tradisce la persistenza di una fonte classica, vantaggiosa eredità di un percorso di crescita svolto con la gradualità che richiede una maturazione dello spirito e non solo delle idee. La sfida della libertà di reinterpretare la figura che durante il Novecento ha caratterizzato la ricerca scultorea in un’interrotta serie di artisti, ha condotto a traguardi di insospettabile esplicità formale, e, in ultima analisi, Stefano Bombardieri è tra quelli che ha proseguito la ricerca verso esiti successivi, che oltrepassano la mera rappresentazione, affidando ad essa un valore simbolico e metaforico di grande attualità. Attraverso un appropriamento rapido e perentorio delle possibilità espressive di materiali estremamente duttili come le vetroresine, Bombardieri realizza voluminose e sorprendenti sculture a grandezza naturale che ritornano nell’assoluto dei temi legati al tempo, alla sua pesantezza e sospensione. Rinoceronti a grandezza naturale, lottatori di sumo, figure imponenti, restituite nell’assoluta fedeltà di ogni dettaglio realistico e cristallizzate nell’immobilità della loro massa, ma inaspettatamente sospese nello spazio: pendenti dall’alto e ferme, in un’innaturale collocazione aerea. Icone di un tempo e di uno spazio che ridefiniscono i loro confini, svincolandosi dall’ovvietà del senso comune, suggerendo insospettate relazioni tra ciò che è vero e ciò che è soltanto creazione. E lo stesso sostrato significante appartiene alle composizioni concettuali dove gli oggetti perdono la loro banale funzione quotidiana per svuotarsi e trasformarsi in segreti involucri, dove forse viene riposta la volatile sostanza di cui sono fatte le risposte che cerchiamo. Così, ad esempio, la ricorrente macchina da scrivere perde ogni valore oggettivo per diventare metafora della seducente relazione tra corpo e anima tra ciò che contiene e ciò che è contenuto.
GIOVANNA GALLI
STEFANO BOMBARDIERI
di Stefania Vitale
I pensieri si fissano nell’immobilità di pochi attimi. L’indagine interiore permea le cose proiettandosi sugli strumenti del quotidiano. Questi assumono nuove dimensioni, trasfigurando la propria natura e ricoprendosi di significati originali. Stefano Bombardieri si è messo a cercare vecchie Olivetti 80 per ricreare, intorno a questi modelli, scenari e installazioni. Le forme tondeggianti, addirittura “panciute”, sembrano affacciarsi dal nulla, curiosare nel presente, viverlo nel suo divenire mentre la tastiera “sputa” parole, rielabora segni, compone frasi e aneddoti del vivere. Riflessioni che si perdono su un foglio senza autore, un video senza registra a simboleggiare dogmi di un unico colore e di un’unica dimensione, eppure tratti da un’esperienza del tutto pesonale. Gli interrogativi si perpretano e si accavallano scorrendo nella mente attraverso l’esperienza del dolore e condannando l’uomo a ricredere di se stesso e delle sue convinzioni. Bombardieri affronta questa esperienza verificandone le varie tappe e le diverse espressioni riportandola sulle scene attraverso elaborate trasposizioni simboliche. Metafore della memoria che si compongono su installazioni elettroniche, arazzi, figure astratte.
STEFANIA VITALE
C’è un rinoceronte che gira in galleria
di Mauro Corradini
Mezzo millennio or sono, nel 1515, Albrecht Dürer incide il suo Rhinocerus; da sempre l’immagine costituisce un simbolo della calcografia, ma anche un simbolo dei tempi: Colombo era appena tornato d’oltre Oceano, si iniziava quell’esplorazione delle nuove terre che avrebbe abbracciato tutto il Cinquecento e il Seicento. Anche gli animali, con le favole e gli aneddoti che li accompagnavano, arricchivano l’immaginario collettivo che la pittura e le parole promuovevano e diffondevano. Nasce così quest’anima di ferro, corazzato come se portasse un’armatura; anzi, nell’immagine del grande di Norimberga, si direbbe quasi che, come per una tartaruga il carapace, la struttura coprente le spalle e il dorso del forte animale sia quasi distaccato, una sorta di armatura che si può togliere; e dall’armatura fuoriesce la testa possente, il corpo vivo e cresciuto in uno con la struttura dell’apparato olfattivo. Proprio perché immagine emblematica nella storia dell’arte, il recupero plastico che lo scultore bresciano Stefano BOMBARDIERI (attualmente espone da Marchina Arte contemporanea) viene compiendo, non appare casuale, anche se non vuole essere una citazione. O forse è una citazione che si muove in senso opposto, dal momento che della forza originaria che Dürer riconosceva al rinoceronte è rimasta poca cosa, un’idea sommessa di molliccio, che sfugge da ogni lato, si adagia, diviene un oggetto da esportare con tante altre valigie e pacchi, per un’improbabile meta.
Pochi anni fa, BOMBARDIERI ha realizzato un’altra grande scultura dedicata al mondo animale: una balena questa volta, enorme nella sua tenera presenza, trascinata da una ragazzina, che con una gomena la portava in avanti, come i battellieri del Volga di Repin trascinavano (faticosamente tuttavia) il battello da riva, in prossimità di forti correnti. La bimbetta no, trascinava la balena gioiosamente, senza sforzo. Lo stesso ribaltamento di senso c’è nel nuovo Rinoceronte.
Impacchettato tra valigie e pacchi, fermato con corde che potrebbero tenere oggetti di più consistente robustezza, il Rinoceronte appare disarticolato, un rinoceronte morbido che scivola sulle cose, assume posizioni im-possibili, può apparire un pacco tra i pacchi, se non ci fosse il corno a tradirlo; non più minaccioso, presenza anch’essa sorridente, come l’insieme, posto sul carrellino di un improbabile aeroporto. Per finire, sardina anch’esso, a spuntare con il doppio corno da una scatola appena aperta di sardine.
BOMBARDIERI usa materiali sintetici, quali le fibre plastiche, le resine, ma anche il più tradizionale bronzo; elabora con sapienza (maestria diremmo, se il termine non apparisse obsoleto) le forme; lo scultore – una bella voce nuova che sta mantenendo le promesse: è nato poco meno di 40 anni fa – dialoga non più solo con l’aspetto formale dell’opera, che è componente significativa, ma porta in gioco l’ironia che lo caratterizza, come se all’arte toccasse il ruolo, per essere ascoltata, di esorcizzare la verità sorridendo. Sa che l’arte è immagine marginale, sopraffatta dalle mille e una immagini inutili della nostra quotidianità frastornata; inventa situazioni, rovescia il nostro buon senso, mette in crisi i sensi percettivi del nostro sguardo. Del resto, sembra volerci dire, se lo sguardo è quello che serve per vedere quel tanto e quell’inutile che la quotidianità ci propone, a che serve il nostro sguardo? Una antica tradizione ha affidato all’arte, alla poesia in primo luogo, ma anche all’immagine il compito di evocare; dopo mille e mille e mille anni di storia siamo tornati alle origini: era cieco Omero, come è momentaneamente cieco per gli occhiali scurissimi l’Apollinaire che De Chirico raffigura nella celebre opera del 1914 (Le poète, appunto): quel che c’è da vedere è dentro, non fuori. Allora BOMBARDIERI ribalta i nostri sensi, le nostre percezioni; ironizza con le nostre certezze, ci porge realtà «altre».
Le più vere forse; fantastiche anche. Ma l’immaginazione, la regina delle facoltà, non è forse l’unica capace ancora di darci volti che ci somiglino? Immagini per momenti sereni, rari istanti in quotidianità banali? Funzione ridotta o amplissima, per questa via, quella dell’arte; funzione che ci conduce a riflettere sulla misura delle cose.
MAURO CORRADINI